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29/12/2022Incipit
“Qualsiasi relazione discriminante che non rispetta la convinzione fondamentale che l’altro è come me stesso costituisce un delitto, e tante volte un delitto aberrante”.
(Papa Francesco)
“La discriminazione è una malattia”.
(Roger T. Staubach)
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Ѐ davvero una brutta cosa la
discriminazione, ancorché praticata sin dalla notte dei tempi. Tutti la
condannano, ma sono troppi coloro che lo fanno solo con le parole. Storia
vecchia, quindi, che purtroppo affiora quotidianamente dalla cronaca e spesso
diventa pessima storia.
In questo articolo parliamo della
discriminazione subita da oltre duecentomila lavoratori, dipendenti di Poste
Italiane, azienda che nell’ultimo trentennio ha mutato lo status di
vecchio carrozzone statale prima in Ente pubblico economico e poi, dal 28
febbraio 1998, sia pure con la formula di impresa pubblica, nell’attuale S.p.a.
La buonuscita congelata
Come noto, al termine dell’attività
lavorativa, ai dipendenti del settore privato viene corrisposto il TFR
(Trattamento di fine rapporto) e ai dipendenti pubblici il TFS (Trattamento di
fine servizio). A titolo di chiarezza si precisa che, per i dipendenti postali,
sin da quando esisteva il ministero di riferimento, il trattamento di fine
servizio (ora TFR) viene definito con il termine “buonuscita”.
Una caratteristica peculiare dei due
trattamenti è la rivalutazione monetaria annuale, calcolata secondo gli indici
Istat, in modo da adeguare l’importo ricevuto all’inflazione, preservandone il
potere di acquisto.
Per i dipendenti pubblici va precisato che
si registra un sensibile ritardo tra la data di cessazione del servizio e
l’erogazione del TFS, senza che l’importo benefici della rivalutazione e ciò è
oggetto di lamentele e rivendicazioni, attualmente all’esame della Corte
Costituzionale.
La penalizzazione economica, tuttavia, come
meglio vedremo in seguito, è di gran lunga inferiore a quella subita dai
postali, cosa che comunque non giustifica né il ritardo né la mancata
rivalutazione.
Per i dipendenti di Poste Italiane,
infatti, unici tra tutte le categorie di lavoratori provenienti dal servizio
pubblico, la rivalutazione è stata “congelata” al 28
febbraio 1998, ossia alla data in cui è avvenuta la
trasformazione dell’Ente pubblico economico in Società per azioni (legge
finanziaria varata dal Governo Prodi, a firma di Ciampi e Visco in qualità di
Ministri del Tesoro e delle Finanze).
La ragione di questa pesante
discriminazione resta uno dei misteri irrisolti della Repubblica Italiana,
nonostante violi in modo palese la Costituzione: art. 3 (Tutti
i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche,
di condizioni personali e sociali.
È
compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale,
che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono
il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese); art. 36 (Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata
alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare
a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa […].
I giudici della Consulta, tra l’altro,
affrontando il problema a seguito di un ricorso, con un’ordinanza del 2007
hanno addirittura sancito “la manifesta infondatezza della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 53, comma 6, lettera a, della legge 27
dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica)”.
I postali, dunque, rispetto ad altri
lavoratori, come per esempio i ferrovieri, per i quali la buonuscita è stata
regolarmente inserita nel loro nuovo TFR, sono figli di un Dio minore.
Il danno economico subito
Prendiamo a titolo di esempio un dipendente
che abbia cessato l’attività lavorativa nel novembre 2020, che abbia
regolarmente riscosso il TFR un paio di mesi dopo e la quota restante di
ventimila euro (maturata dal momento dell’assunzione al 1998) dopo due anni,
ossia nel novembre 2022, secondo quanto previsto dalle vigenti norme.
La penalizzazione sarebbe pari a quasi il
46% di quanto gli sarebbe spettato: l’importo rivalutato, infatti – quello per
intenderci che avrebbe riscosso un ferroviere con pari anzianità di servizio e
di livello – ammonta a 43.509,68 euro!
Siccome al peggio non vi è mai fine, va
anche detto che siffatta anomala situazione ha determinato degli errori da
parte dell’Agenzia delle Entrate nella fase di ricalcolo dell’Irpef sulle
liquidazioni già improvvidamente decurtate, con conseguente addebito di
importi, in taluni casi davvero consistenti, non dovuti. (vedere pagina Facebook dedicata al “furto” delle buonuscite).
Per completezza informativa va aggiunta la
maggiore penalizzazione subita dai fruitori della cosiddetta “Quota 100”,
grazie alla quale hanno potuto anticipare il pensionamento coloro che, sommando
gli anni dei contributi versati all’età anagrafica, abbiano raggiunto un
risultato pari a cento: la riscossione della buonuscita, per loro, è prevista
quindici mesi dopo il raggiungimento dell’età pensionabile.
In pratica, un dipendente che fosse andato
in pensione nel gennaio 2019, a 62 anni compiuti, percepirà l’importo – non
rivalutato dal 1998 – con un ritardo aggiuntivo di oltre sei
anni, con buona pace di quanto sancito dalla Carta Europea dei
diritti degli anziani e, molto più semplicemente, da un minimo di buon senso,
soprattutto in regime di inflazione galoppante.
Giuseppe Zani: l’eroe dei postali vessati
Giuseppe Zani, 65enne residente in
provincia di Brescia, è un ex dipendente delle Poste, vittima della famigerata
legge Fornero sugli “esodati”, ossia i lavoratori che avevano accettato il
licenziamento in cambio di un’indennità provvisoria fino al raggiungimento
dell’età pensionabile.
Si fidavano dello Stato e delle sue leggi,
i poveretti, ma non avevano fatto i conti con i tecnocrati amici (o servi) dei
poteri forti, per i quali contano solo i ricchi. Firmarono con il cuore che
batteva forte, dopo aver fatto bene i calcoli e deciso che la soluzione non era
penalizzante.
Peccato che con l’entrata in vigore della
legge si fossero trovati improvvisamente in un tetro limbo: senza pensione,
senza stipendio e senza ammortizzatori sociali. Oltre 350 mila cittadini, dopo
una vita di duro lavoro e immani sacrifici, si sono visti ripagare con azioni
indegne di un Paese civile.
Tanti di loro sono precipitati nel
vorticoso tunnel della depressione; tanti altri, invece, sono periti per il
troppo dolore accumulato o per quel terribile impulso che spinge a gesti
estremi quando il peso della vita diventa insostenibile: eclatante il suicidio
di due sposi marchigiani, che si impiccarono nel garage della loro abitazione.
Migliaia le famiglie sconvolte da una legge iniqua, retaggio di un sistema
marcio.
Giuseppe, però, ha la tempra dura di chi,
sin da bambino, ha imparato a districarsi tra i fascinosi ma duri sentieri
della Val Camonica, corroborata da un alto livello culturale (è uno studioso di
storia e ha scritto tre saggi sulla sua terra, prestando particolare attenzione
alle famose fornaci del bresciano) e da una rigorosa vis artistica (è a capo di
un gruppo musicale e da oltre quaranta anni docente di canto e musica).
Le parole “arrendersi e deprimersi” non
esistono nel suo dizionario e pertanto avviò subito una dura battaglia nel
movimento degli esodati, che contribuì a far nascere, fino al varo dei nove
provvedimenti di salvaguardia succedutesi dal 2011al 2021.
Contestualmente avviò una seconda battaglia
per tutti gli altri “figli di un Dio minore”, fondando il “Comitato Buonuscita PT” e coinvolgendo
mezzo mondo politico affinché si ponesse rimedio a quella che senz’altro si può
definire, con termine eufemistico per evitare querele, una vera ingiustizia.
All’inizio era solo, ma l’eco della
meritoria attività svolta indusse ben presto molte altre vittime ad
affiancarlo, consentendogli di rendere ancora più efficace la rivendicazione di
un diritto violato da leggi inique.
Nel blog del Comitato è possibile visionare gli atti della poderosa
campagna, avviata nel 2016, affinché anche ai dipendenti di Poste Italiane sia
riconosciuto il trattamento di rivalutazione del salario differito previsto per
gli altri lavoratori, pubblici e privati, al momento delle dimissioni.
Che cosa possono fare le vittime della mancata rivalutazione
Giuseppe Zani, dall’autore di questo
articolo intervistato telefonicamente, è stato molto chiaro – e purtroppo anche tranchant –
nel rispondere alla domanda: «La vicenda è maledettamente complicata e di fatto
ai singoli soggetti non conviene fare nulla perché correrebbero solo il rischio
di perdere tempo e soldi, aggiungendo acqua bollente sulla piaga».
Una vertenza singola, di fatto, soprattutto
dopo la pazzesca sentenza della Consulta, non avrebbe alcuna possibilità di
esito positivo. Oltre duecento ex dipendenti aderenti al “Comitato Buonuscita
PT” hanno già avviato un’azione legale di gruppo, ma gli avvocati che curano
gli interessi dei ricorrenti, dimostrando profonda deontologia professionale,
rifiutano di accettare altri incarichi, ritenendo che sia preferibile attendere
l’esito della vertenza in itinere, della quale non nascondono né le insidie né
le difficoltà oggettive.
Una strada perseguibile, a sentenza emessa
(chissà quando) e a prescindere dalla sua natura, è il ricorso collettivo alla
Corte di Giustizia Europea affinché sancisca l’incongruità della norma italiana
rispetto a quanto previsto in materia dalle norme comunitarie.
Il ricorso, però, può essere effettuato
solo tramite un tribunale, previa congrua assistenza legale. Un ulteriore dato
da prendere in considerazione riguarda la tempistica, non certo di aiuto per
chi brami giustizia: ancorché eseguibile anche durante la fase processuale di
primo e secondo grado, infatti, per prassi consolidata il ricorso viene
inoltrato solo dopo la sentenza della Corte di Cassazione.
In pratica è tutto maledettamente
complicato ma, come giustamente osserva Zani, bisogna continuare a lottare,
facendo anche attenzione al cappio della prescrizione: «Questa è una battaglia
destinata a vedere vincitori esclusivamente le vittime di un sopruso, essendo
inconcepibile e inaccettabile, sul piano umano, etico e giuridico, qualsiasi
altra soluzione.
Occorre tempo, ma il tempo è galantuomo.
Per tutelarsi, intanto, al fine di interrompere i termini oltre i quali si
prescrive la possibilità di far valere un diritto, è importantissimo inviare
una lettera di contestazione, tramite posta raccomandata, entro cinque anni
dalla data di cessazione del rapporto di lavoro.
In caso contrario si spegnerebbe anche la
speranza. La raccomandata va inviata alla sede legale di Poste Italiane e, per
conoscenza, alla Gestione Commissariale Fondo Buonuscita,
alla sede legale dell’INPS, all’ufficio di presidenza del Consiglio dei
Ministri.
Il Comitato Buonuscita PT, che assiste
gratuitamente i postali vittime della penalizzazione, è a disposizione di
chiunque necessiti di aiuto per la stesura della lettera e per la contestazione
dell’iniquo ricalcolo dell’Irpef generato dagli errori dell’Agenzia delle
Entrate. Non bisogna demordere, quindi. Come sempre: “Vincit qui patitur”.
Lino Lavorgna 29/12/2022
nuova pubblicazione aggiornata il 18/07/2023