Facciamoci sentire in questa discussione... Si parla di portare da 24 a 48 mesi l'erogazione della buonuscita.
Per noi è già a 216. Possiamo dire la nostra!?
I COSTI DELLA CASTA
Buonuscita anche dopo 48 mesi 12/06/2016
La «buonuscita» oltre i 50 mila euro è erogata in 3 tranche. Per chiudere i conti con lo Stato bisogna aspettare i 70 anni C’è chi, qualche privilegiato in Parlamento, la sua buonuscita (l’indennità che si percepisce alla fine della vita lavorativa) se la gode in tempi record, a volte anche prima ancora di averla maturata, e chi, povero mortale, aspetta anche quattro anni per entrare in possesso del suo gruzzoletto. Ebbene questo secondo caso riguarda tutti gli statali italiani che quando l’importo della liquidazione supera i 50 mila euro, ottengono le loro spettanze in due o anche tre tranche. Considerato lo stato delle finanze pubbliche la dilazione, sebbene non gradita, ha in via di principio una sua motivazione economica. Ma quattro anni di attesa appaiono, anche al cittadino più rispettoso delle leggi, un tempo eccessivamente troppo lungo per ottenere il soddisfacimento di un diritto. E invece, a dispetto del buonsenso, accade proprio questo.
Tempi biblici I soldi a 70 anni
Se lo statale lascia anticipatamente il posto rispetto ai requisiti della pensione di vecchiaia, per dimissioni volontarie ad esempio, la prima tranche del “bottino” viene erogata ben 24 mesi dopo l’uscita. Solo dopo due anni, insomma, il fortunato e «ricco» lavoratore pubblico ottiene i primi soldi e cioè i primi 50 mila euro. Ma non è finita. Sì, perché se l’importo supera questa soglia la seconda rata viene pagata dopo un anno dalla prima erogazione (e si arriva così tre anni). Infine se per sua fortuna il lavoratore ha fatto carriera ed è riuscito a raggiungere un reddito elevato, e dunque ha maturato un’indennità che supera i 100 mila euro, per avere la quota residua devono passare altri 365 giorni dalla seconda erogazione. Insomma uno statale che si dimette, o esce dall’ufficio prima della scadenza naturale del suo rapporto, per chiudere i conti con lo Stato deve attendere quasi un lustro. Questo è il caso peggiore. Ma anche per chi arriva al ritiro dal posto avendo maturato l’età anagrafica chiesta dalla legge (e cioè i 66 anni e 7 mesi) le gioie sono poche. In questo caso, infatti, l’attesa per la prima parte del malloppo (i primi 50 mila euro) si riduce da 24 a 12 mesi. Mentre resta la stessa tempistica per le parti rimanenti: i secondi 50 mila euro dopo un anno, e il resto dopo altri 365 giorni. Insomma nelle ipotesi più normali per avere sul conto corrente l’intero importo devono comunque passare almeno 36 mesi. Morale: con lo Stato si diventa «ricchi» solo a 70 anni suonati. Gli scongiuri a questo punto sono d'obbligo.
Da Silvio a Letta stessa ricetta
Non è stato sempre così. A dare la mazzata ai sogni di gloria e benessere economico dei travet italiani è stato il governo Berlusconi che, per rallentare l’uscita di corposi flussi dalle casse del Tesoro, in ossequio alla lettera della Banca Centrale Europea che chiedeva riforme e austerity all’Italia, impose il pagamento della prima tranche della buonuscita (fino a 90 mila euro) dopo sei mesi dalla cessazione dal servizio. Insomma gli italiani devono ringraziare Francoforte se per percepire l’assegno devono aspettare tempi infiniti. Per la seconda, riguardante l’importo tra i 90 e i 150mila euro, bisognava aspettare invece altri 12 mesi. Una restrizione mal digerita ma che fu resa ancora più pesante dal governo guidato da Enrico Letta che, firmando la legge di Stabilità per il 2014 (legge 147/2013), rese la dilazione delle somme allungabile fino appunto ai quattro anni.
La «buonuscita» oltre i 50 mila euro è erogata in 3 tranche. Per chiudere i conti con lo Stato bisogna aspettare i 70 anni C’è chi, qualche privilegiato in Parlamento, la sua buonuscita (l’indennità che si percepisce alla fine della vita lavorativa) se la gode in tempi record, a volte anche prima ancora di averla maturata, e chi, povero mortale, aspetta anche quattro anni per entrare in possesso del suo gruzzoletto. Ebbene questo secondo caso riguarda tutti gli statali italiani che quando l’importo della liquidazione supera i 50 mila euro, ottengono le loro spettanze in due o anche tre tranche. Considerato lo stato delle finanze pubbliche la dilazione, sebbene non gradita, ha in via di principio una sua motivazione economica. Ma quattro anni di attesa appaiono, anche al cittadino più rispettoso delle leggi, un tempo eccessivamente troppo lungo per ottenere il soddisfacimento di un diritto. E invece, a dispetto del buonsenso, accade proprio questo.
Tempi biblici I soldi a 70 anni
Se lo statale lascia anticipatamente il posto rispetto ai requisiti della pensione di vecchiaia, per dimissioni volontarie ad esempio, la prima tranche del “bottino” viene erogata ben 24 mesi dopo l’uscita. Solo dopo due anni, insomma, il fortunato e «ricco» lavoratore pubblico ottiene i primi soldi e cioè i primi 50 mila euro. Ma non è finita. Sì, perché se l’importo supera questa soglia la seconda rata viene pagata dopo un anno dalla prima erogazione (e si arriva così tre anni). Infine se per sua fortuna il lavoratore ha fatto carriera ed è riuscito a raggiungere un reddito elevato, e dunque ha maturato un’indennità che supera i 100 mila euro, per avere la quota residua devono passare altri 365 giorni dalla seconda erogazione. Insomma uno statale che si dimette, o esce dall’ufficio prima della scadenza naturale del suo rapporto, per chiudere i conti con lo Stato deve attendere quasi un lustro. Questo è il caso peggiore. Ma anche per chi arriva al ritiro dal posto avendo maturato l’età anagrafica chiesta dalla legge (e cioè i 66 anni e 7 mesi) le gioie sono poche. In questo caso, infatti, l’attesa per la prima parte del malloppo (i primi 50 mila euro) si riduce da 24 a 12 mesi. Mentre resta la stessa tempistica per le parti rimanenti: i secondi 50 mila euro dopo un anno, e il resto dopo altri 365 giorni. Insomma nelle ipotesi più normali per avere sul conto corrente l’intero importo devono comunque passare almeno 36 mesi. Morale: con lo Stato si diventa «ricchi» solo a 70 anni suonati. Gli scongiuri a questo punto sono d'obbligo.
Da Silvio a Letta stessa ricetta
Non è stato sempre così. A dare la mazzata ai sogni di gloria e benessere economico dei travet italiani è stato il governo Berlusconi che, per rallentare l’uscita di corposi flussi dalle casse del Tesoro, in ossequio alla lettera della Banca Centrale Europea che chiedeva riforme e austerity all’Italia, impose il pagamento della prima tranche della buonuscita (fino a 90 mila euro) dopo sei mesi dalla cessazione dal servizio. Insomma gli italiani devono ringraziare Francoforte se per percepire l’assegno devono aspettare tempi infiniti. Per la seconda, riguardante l’importo tra i 90 e i 150mila euro, bisognava aspettare invece altri 12 mesi. Una restrizione mal digerita ma che fu resa ancora più pesante dal governo guidato da Enrico Letta che, firmando la legge di Stabilità per il 2014 (legge 147/2013), rese la dilazione delle somme allungabile fino appunto ai quattro anni.
Tasse mangia reddito
Oltre a essere difficili da ottenere gli importi della liquidazione sono anche tassati. E non poco. L’aliquota media che viene applicata alla parte imponibile è attestata attorno al 23 per cento. Che a prima vista non sembra proprio un trattamento di favore per soldi che servono a integrare nella vecchiaia redditi pensionistici non certo da nababbo. In realtà il carico fiscale applicato è frutto di un calcolo complesso che crea un reddito di riferimento annuale sul quale calcolare l’aliquota Irpef da applicare alla parte di indennità da tassare (una parte infatti è esente da imposte). A titolo di esempio se una buonuscita è di circa 85 mila euro, il reddito di riferimento è pari a 14.400 euro, le tasse su questo sono circa 3.300 euro che corrispondono a un’aliquota media del 23%. Questa, applicata su un valore imponibile di circa 37 mila euro (l’importo che risulta dopo l’applicazione della no tax area), corrisponde a un balzello in valore assoluto è pari a 8.500 euro e che rappresenta, in termini percentuali, un'imposta pari al 10% sugli 85 mila iniziali.
Il taglio con nuove regole
Va ricordato infine che nel corso degli ultimi anni, oltre alle dilazioni record e alle tasse, gli statali hanno dovuto subire anche il cambio delle regole per la determinazione dell’importo della loro liquidazione. Tutti gli assunti prima del 31 dicembre 2000, infatti, hanno diritto a vedere conteggiate le loro spettanze di fine lavoro con la normativa del Tts (Trattamento di fine servizio) che considera come riferimento il metodo retributivo. Non così per gli assunti successivamente che vedranno conteggiata l’indennità sulla base del modello contributivo. Questo significa che, nel primo caso il trattamento è più generoso e la somma più alta perché calcolata partendo dalle cifre dell’ultimo anno di retribuzione (premiando così lo statale che ha in genere, salvo gli ultimi anni causa blocco dei contratti, una progressione di stipendio in crescita). I neoassunti al contrario prenderanno solo il Tfr (Trattamento di fine rapporto) regolato dall’articolo 2120 del codice civile che usa come base per i conteggi il 6,9 per cento della retribuzione di ogni anni di lavoro. In soldoni nel secondo caso l’importo, che deriva da tutta la carriera lavorativa, è nettamente più basso. Non solo. Quando questi lavoratori andranno in pensione, presumibilmente attorno al 2035, e avranno maturato il diritto alla quiescenza, il loro Tfr sarà tassato con le regole del settore privato e dunque con aliquote media più alte, attorno al 27%. Conclusione. Anche nello Stato, ultima oasi di lavoro protetto, il detto: «Soldi, sporchi, maledetti e subito» non vale più. Ma per qualcuno della Casta il proverbio è ancora in vita.
Filippo Caleri
Oltre a essere difficili da ottenere gli importi della liquidazione sono anche tassati. E non poco. L’aliquota media che viene applicata alla parte imponibile è attestata attorno al 23 per cento. Che a prima vista non sembra proprio un trattamento di favore per soldi che servono a integrare nella vecchiaia redditi pensionistici non certo da nababbo. In realtà il carico fiscale applicato è frutto di un calcolo complesso che crea un reddito di riferimento annuale sul quale calcolare l’aliquota Irpef da applicare alla parte di indennità da tassare (una parte infatti è esente da imposte). A titolo di esempio se una buonuscita è di circa 85 mila euro, il reddito di riferimento è pari a 14.400 euro, le tasse su questo sono circa 3.300 euro che corrispondono a un’aliquota media del 23%. Questa, applicata su un valore imponibile di circa 37 mila euro (l’importo che risulta dopo l’applicazione della no tax area), corrisponde a un balzello in valore assoluto è pari a 8.500 euro e che rappresenta, in termini percentuali, un'imposta pari al 10% sugli 85 mila iniziali.
Il taglio con nuove regole
Va ricordato infine che nel corso degli ultimi anni, oltre alle dilazioni record e alle tasse, gli statali hanno dovuto subire anche il cambio delle regole per la determinazione dell’importo della loro liquidazione. Tutti gli assunti prima del 31 dicembre 2000, infatti, hanno diritto a vedere conteggiate le loro spettanze di fine lavoro con la normativa del Tts (Trattamento di fine servizio) che considera come riferimento il metodo retributivo. Non così per gli assunti successivamente che vedranno conteggiata l’indennità sulla base del modello contributivo. Questo significa che, nel primo caso il trattamento è più generoso e la somma più alta perché calcolata partendo dalle cifre dell’ultimo anno di retribuzione (premiando così lo statale che ha in genere, salvo gli ultimi anni causa blocco dei contratti, una progressione di stipendio in crescita). I neoassunti al contrario prenderanno solo il Tfr (Trattamento di fine rapporto) regolato dall’articolo 2120 del codice civile che usa come base per i conteggi il 6,9 per cento della retribuzione di ogni anni di lavoro. In soldoni nel secondo caso l’importo, che deriva da tutta la carriera lavorativa, è nettamente più basso. Non solo. Quando questi lavoratori andranno in pensione, presumibilmente attorno al 2035, e avranno maturato il diritto alla quiescenza, il loro Tfr sarà tassato con le regole del settore privato e dunque con aliquote media più alte, attorno al 27%. Conclusione. Anche nello Stato, ultima oasi di lavoro protetto, il detto: «Soldi, sporchi, maledetti e subito» non vale più. Ma per qualcuno della Casta il proverbio è ancora in vita.
Filippo Caleri
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