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Per comunicazioni scrivi a: buonuscitapt@gmail.com

domenica 29 ottobre 2023

Perché aderire al Comitato Buonuscita PT

Molte persone ci scrivono in privato chiedendo informazioni personali (a volte in modo pretenzioso) come se fossimo uno sportello, emanazione di chissà quale entità.

NO! Siamo semplicemente colleghi, o ex colleghi coscienti di aver subito un'ingiustizia e determinati nel combatterla con le armi a disposizione provenienti dalla conoscenza e dalla condivisione in gruppo, utile per tutti.

Ciascuno di noi ha il proprio angolo di visuale, insieme si amplia quella di tutti.
Per questo riproponiamo questo post del Comitato già pubblicato il 15 marzo 2016.

Aderisci al comitato

Perché aderire al comitato?
Su Facebok c'è una sempre più crescente presenza. Significa che molti di noi sono interessati a leggere le notizie sulla Buonuscita e a loro modo aderiscono a questa battaglia per far emergere l'argomento. 
Questo è bene. 
Ma a noi interessa AVERE PERSONE FORTEMENTE MOTIVATE, disposte ad aderire e far crescere il comitato che sta prendendo forma: insieme dovremo provare a percorrere qualche strada. Anche fisicamente.

Ribadiamo:
- Non chiediamo soldi.
(a beneficio dei dietrologisti) Non siamo emanazione di... ma un gruppo di scopo.
- Non siamo il Messia e quindi non facciamo miracoli, né vogliamo alimentare illusioni.
Vogliamo provare a cambiare le cose. INSIEME. Con chi ci sta.

Ci muove la certezza di aver ragione.
Tra di noi ci sono anche alcuni esodati, che, oltre a quella condizione subiscono anche questo trattamento "privilegiato". 
Le nostre giuste ragioni devono essere fatte valere ponderando bene tutti gli elementi per poi decidere come agire.

Si aderisce al comitato scrivendo a: buonuscitapt@gmail.com comunicando i seguenti dati:
Nome - Cognome - indirizzo completo - Provincia - 
telefono - cell - e.mail – PERSONALI (non professionali)
Data di assunzione

Sei Attualmente dipendente? 
(oppure) Sei stato dipendente fino al...

Chi ci si mette, poi deve anche remare. Starci da passeggeri si sta come la zavorra.

lunedì 16 ottobre 2023

La solita tempestiva presenza

A differenza di blablatici interessamenti dichiarati occasionalmente da qualche sigla sindacale, finora abbiamo trovato tempestiva ed opportuna attenzione solo da La Settimana Postale.



venerdì 13 ottobre 2023

Sindacati di Polizia chiedono di cancellare il differimento del TFS

Al Signor Ministro dell’Economia e delle Finanze
On.le Giancarlo Giorgetti 

Al Signor Ministro dell’Interno
Pref. Matteo Piantedosi

Al Signor Ministro della Pubblica Amministrazione
Sen. Paolo Zangrillo

All’ Istituto Nazionale della Previdenza Sociale

e, p.c. Al Signor Capo della Polizia

Pref. Vittorio Pisani


Prot.  07/SIAP-ANFP/2023          Roma, 11 ottobre 2023

Oggetto: Richiesta intervento normativo per sanare l’ingiusto differimento del trattamento di fine servizio.

Da lungo tempo avevamo colto il disagio di tutti gli appartenenti della Polizia di Stato che vivono il differimento e la dilazione del TFS con sentimento di frustrazione e di ingiustizia, che cade proprio nel delicato momento della fuoriuscita dal mondo del lavoro e il passaggio al sistema pensionistico.

Proprio per questo motivo si è promosso un ricorso innanzi al TAR Lazio, finalizzato a sollevare la questione della legittimità costituzionale degli artt. 12 del d.l. 78/2010 e 3 del d.l. 79/1997, le norme “emergenziali” che avevano introdotto rispettivamente la rateizzazione in più tranches del TFS ed il differimento di un anno per il primo pagamento nei confronti dei dipendenti collocati a riposo per anzianità massima anagrafica o di servizio. 

Come ormai è ben noto a tutti, la Corte costituzionale con sentenza n. 130/2023, ricollegandosi alla sua precedente sentenza n. 150 del 2019, pur avendo dichiarato la questione proposta “inammissibile” - in quanto il TFS costituisce un rilevante aggregato della spesa corrente che incide sensibilmente sul bilancio statale - ha tuttavia riconosciuto che le norme impugnate violano il criterio della ragionevolezza nella pur eccezionalmente ammissibile compressione del diritto dei lavoratori alla tempestiva corresponsione.

La sentenza ha sancito che “La lesione delle garanzie costituzionali determinata dal differimento della corresponsione delle prestazioni in esame esige, infatti, un intervento riformatore prioritario, che contemperi l’indifferibilità della reductio ad legitimitatem con la necessità di inscrivere la spesa da essa comportata in un organico disegno finanziario che tenga conto anche degli impegni assunti nell’ambito della precedente programmazione economico-finanziaria”.

L’attuale situazione inflazionistica ha acuito l’urgenza di un intervento legislativo; infatti, non essendo la prestazione previdenziale controbilanciata dal riconoscimento della rivalutazione monetaria, il ritardo finisce per incidere sulla stessa consistenza economica della prestazione. 

Al riguardo, si evidenzia in primo luogo che il dato finale dell’inflazione certificato dall’Istat è pari a l’8,1%, in secondo luogo il costo della cessione del TFS, in base alle convenzioni bancarie è del 3%, mentre fuori dalle convenzioni ammonta al 6%. Perciò, il taglio del potere di acquisto del trattamento di fine servizio può arrivare fino al 14%, tale riduzione è un’autentica iniquità che grava sul pubblico dipendente.

Sempre la Consulta ha sancito che neanche può ritenersi satisfattiva la disciplina di anticipazione della liquidazione introdotta dall’art. 23 del d.l. n. 4 del 2019 o da ultimo dalla deliberazione del Consiglio di amministrazione dell’INPS 9 novembre 2022, n. 219, che consentono di usufruire di un finanziamento con onere a carico del dipendente, perché anche tali misure continuano a scaricare sulle spalle dei dipendenti interessati l’onere economico per l’erogazione tempestiva dell’emolumento.  

Oltretutto, la disponibilità fornita spontaneamente dall’INPS ad erogare il finanziamento, lascia ben intendere che l’Istituto dispone nelle proprie casse della liquidità necessaria e pertanto il costo economico che viene scaricato sui dipendenti si rivela una ingiusta ed indebita attività lucrativa. Questo illegittimo balzello diventa ancora più odioso per coloro i quali saranno collocati in quiescenza esclusivamente con il sistema contributivo. Questi colleghi, infatti, non soltanto saranno costretti a fare ricorso ad assicurazioni private, durante l’attività di servizio, per evitare l’eccessiva riduzione della pensione rispetto ai loro predecessori, ma dovranno sostenere anche il costo finanziario per la tempestiva liquidazione del loro TFS!

Nonostante l’esplicita e pregnante raccomandazione di un intervento rapido, risalente già alla sentenza del 2019 ed ora ancor più ribadito, ad oggi, non risulta adottata alcuna iniziativa legislativa in tal senso e tutto il personale della Polizia di Stato, al pari del resto del pubblico impego, continua a percepire il TFS con i consueti ritardi (fino a tre anni) e dilazioni (due o tre rate annuali).

Alla luce delle sopra esposte raccomandazioni della Consulta e delle situazioni di fatto, si richiede una decisa iniziativa che, pur considerando l’esigenza di salvaguardare i saldi del bilancio statale, smetta di porre gli oneri per la tempestiva ed immediata prestazione previdenziale a carico degli stessi dipendenti percettori.

Il legislatore, come detto, non sembra aver ancora posto la dovuta attenzione sulla questione, e riteniamo che solo l’iniziativa legislativa proveniente dal Governo sia idonea a superare questa condizione di illegittimità che si trascina ormai da molti anni, e sulla quale i primi moniti della Corte Costituzionale, risalenti al 2019, sono rimasti totalmente inascoltati. 


LETTERA MINISTRI PER TFS

sabato 7 ottobre 2023

Andiamo avanti!

 A PROPOSITO DI RICORSO...

Sapevamo sin dall’inizio che il percorso sarebbe stato lungo e tortuoso ma andiamo avanti, con la presentazione del ricorso in Cassazione!

Per poter adire infatti la Corte di Giustizia Europea, è necessario percorrere tutti i gradi di giudizio nazionali, laddove vi  sia stata, di volta in volta, una sentenza a noi negativa, come purtroppo verificatosi nel nostro caso. Ma non demordiamo e d’intesa con il nostro Studio Legale, ci stiamo adoperando per far funzionare al meglio la nostra macchina organizzativa, costituita da pochi volontari, al fine di precorrere quanto più possibile i tempi per la definizione delle nostre istanze.

Come di consueto, vi terremo aggiornati perché un nostro eventuale successo spianerà la strada della giustizia a tutti i nostri ex colleghi P.T.!

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GALLONE & URSO

STUDIO LEGALE

 

Egregi ricorrenti, 

come anticipato, è stata pubblicata la nostra sentenza d’Appello che ha sostanzialmente confermato la sentenza di primo grado. Si tratta di una sentenza brevissima, il cui contenuto - tolta l’epigrafe e le conclusioni - si riduce ad appena due paginette. Il contenuto della sentenza è davvero insoddisfacente.

Il nostro atto di appello aveva contestato in maniera chiara e precisa le carenze argomentative contenute nella sentenza di primo grado, insistendo sul fatto che il Vostro caso deve essere valutato sotto il profilo della compatibilità al diritto UE, in quanto la Corte di Giustizia Europea accoglie una concezione molto più ampia del trasferimento d’azienda, estesa a QUALSIASI MODIFICAZIONE SOGGETTIVA DEL DATORE DI LAVORO, e non esclusivamente quando vi sia una cessione dell’azienda, a titolo oneroso, da un soggetto A ad un soggetto B, ma riconosce sempre il trasferimento d'azienda quando vi sia un cambio della titolarità dell’azienda, anche se ciò derivi da un atto autoritativo dell’Autorità, come nelle privatizzazioni. 

Sapevamo che difficilmente il Tribunale e la Corte d’Appello avrebbero contraddetto la decisione negativa della Corte Costituzionale, perciò sin dall’inizio il nostro obiettivo principale è stato quello di tornare innanzi alla Corte di Cassazione, insistendo per ottenere un rinvio alla Corte di Giustizia, anche perché per adire le Corti Europee bisogna aver prima esperito tutti gli strumenti giurisdizionali nazionali. Ebbene, adesso manca soltanto la Corte di Cassazione ed è fondamentale che il gruppo rimanga unito e si presenti coeso dinnanzi alla Suprema Corte impugnando questa decisione d’appello e insistendo per il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea.

Sin dall'inizio abbiamo detto che bisognava percorrere questa strada in ragione del fatto che la Corte di Giustizia, nel caso Collino e Chiappero c/ TELECOM spa ha deciso favorevolmente una questione identica alla vostra, dopo che -anche in quel caso- sia la Cassazione che i primi due giudici interni (tribunale e appello) avevano bocciato il loro ricorso. Collino e Chiappero c/ TELECOM è arrivata alla Corte di Giustizia e lì i lavoratori hanno ottenuto quella giustizia che nei giudizi nazionali non gli era stata riconosciuta. Considerate che è stata la medesima legge a privatizzare sia l'ente Poste e Telecomunicazioni, sia l'ente pubblico ASST, trasformato in IRITEL spa, dove erano stati trasferiti i sigg. Collino e Chiappero. Dunque, non si spiega il motivo della diversità di trattamento.

La Cassazione ha sempre affermato che nelle privatizzazioni, mancando un venditore ed un compratore, non poteva trattarsi di un trasferimento d'azienda, ma di unicità del rapporto lavorativo. Tuttavia, LA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA HA SMENTITO CIO’, AFFERMANDO CHE VI È TRASFERIMENTO D'AZIENDA TUTTE LE VOLTE CHE C’E’ UN CAMBIAMENTO DELLA TITOLARITÀ DELL'AZIENDA, IN QUALSIASI MODO CIO’ AVVENGA, E, DUNQUE, ANCHE PER EFFETTO DI UN PROVVEDIMENTO DI LEGGE O DELL'AUTORITÀ, COME, APPUNTO, IN CASO DI PRIVATIZZAZIONE.  

Peraltro la Cassazione in molti casi ha correttamente applicato i principi sanciti dalla Corte di Giustizia, come, ad esempio, nelle seguenti decisioni:

-   Cass. 10/3/2009 n. 5708, Pres. Sciarelli Est. Curcuruto: “L’art. 2112 c.c., nel testo modificato dalla L. n. 428 del 1990, n. 47, che ha recepito la direttiva comunitaria 77/187/Cee (successivamente modificato dal D.Lgs. n. 18 del 2001, art. 1), in applicazione del canone dell’interpretazione adeguatrice della norma di diritto nazionale alla norma di diritto comunitario, e in considerazione dell’orientamento espresso dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee con le sentenze 25 gennaio 2001, C-172/99, 26 settembre 2000, C-175/99 e 14 settembre 2000, C-343/98, deve ritenersi applicabile anche nei casi in cui il trasferimento dell’azienda non derivi dall’esistenza di un contratto tra cedente e cessionario, ma sia riconducibile a un atto autoritativo della pubblica amministrazione, con conseguente diritto dei dipendenti dell’impresa cedente alla continuazione del rapporto di lavoro subordinato con l’impresa subentrante, purché si accerti l’esistenza di una cessione di elementi materiali significativi tra le due imprese”.

-   Cass. 9/1/2008 n. 199, Pres. La Terza: “Nel caso di mutamento della titolarità della concessione per atto autoritativo della Pubblica Amministrazione, è configurabile un trasferimento d’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c. qualora il complesso dei beni aziendali, nel passaggio di titolarità, resti immutato nella sua struttura organizzativa e nell’attitudine all’esercizio dell’impresa”.

-   Corte app. Roma 15/6/2006, Pres. Sorace Rel. Franchini: Anche nell’ipotesi di modifica della figura imprenditoriale da ditta individuale in Società in Nome Collettivo (operata attraverso cessione), sussiste il trasferimento d’azienda, poiché, qualunque sia la forma giuridica con cui si attui il mutamento, vi è mutamento del titolare anche laddove rimangano inalterati struttura e fini dell’azienda”.

Voi prima eravate dipendenti di un Ente pubblico economico appartenente al Ministero delle Comunicazioni e poi siete stati trasferiti alle dipendenze di una S.p.a. appartenente al Ministero del Tesoro e alla Cassa Depositi e Prestiti. Si tratta, chiaramente, di un cambio della titolarità dell’azienda, e dunque di un trasferimento d'azienda nell'accezione ampia accolta dalla Corte di Giustizia Europea. 

         È fondamentale continuare il percorso che abbiamo avviato alcuni anni fa, IMPUGNANDO QUESTA ERRATA SENTENZA DINNANZI ALLA CORTE DI CASSAZIONE. Essendo un giudice di ultima istanza dello stato membro, la Cassazione è obbligata a trasmettere gli atti alla C.G.U.E., in caso di dubbio o di non manifesta infondatezza della violazione della norma UE. Ove ciò  non avvenga può  configurarsi la responsabilità dello Stato per denegata giustizia.

Dopo una prima riunione telematica con i referenti del comitato abbiamo deciso di partire immediatamente con la raccolta delle nuove procure speciali per presentare il ricorso innanzi alla Corte di Cassazione. Abbiamo tempo, però dobbiamo comunque procedere molto rapidamente perché siamo in tanti e perché il ricorso in Cassazione richiede un lavoro lungo e molto complesso. Considerate che in Cassazione esistono tantissime formalità da rispettare che, se violate, possono portare ad una dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Occorre dunque muoversi rapidamente e con la massima attenzione.

 

Per quanto concerne la quota di adesione al ricorso tenete presente che solitamente un ricorso in Cassazione costa all’incirca il triplo del primo grado e il doppio dell’appello. Il solo contributo unificato, per esempio, che in primo grado costa 259 euro e in appello 388,50 euro, in Cassazione costa 1036,00 euro. Lo stesso vale per le nostre tariffe professionali, che sono liberamente consultabili in internet; tuttavia, al fine di venire incontro alle esigenze e alle disponibilità economiche di tutti abbiamo deciso di mantenere la quota all’incirca identica a quella dei primi due gradi che era già estremamente favorevole. La quota di adesione, pertanto, è fissata in euro 100,00 a partecipante, comprensiva di tutto, anche del C.U., sino alla fine della causa. Inoltre, sempre per agevolarvi il più possibile abbiamo deciso, assieme ai referenti del comitato, che non dovrete sopportare nessuna ulteriore spesa neppure per qualsiasi rinvio e/o ricorso innanzi alle Corti Europee.  

Abbiamo mantenuto la quota oggettivamente bassa ed accessibile a tutti in modo da mantenere il gruppo unito e coeso in quest’ultimo step che ci eravamo prefissati - come necessario - sin dal principio. È importante che giunga l’adesione di tutti, anche per non arrivare in Cassazione mostrando segni di debolezza, come se alcuni avessero implicitamente “accettato” questa sentenza che ancora una volta non tutela minimamente i vostri diritti evidentemente calpestati dallo Stato italiano. Per questo è ora fondamentale rimanere uniti! 

Per  quanto  riguarda  le tempistiche, non possiamo garantirvi nulla.  In media il giudizio in Cassazione dovrebbe concludersi in circa due anni, però, inutile dirlo, i tempi della giustizia civile sono molto volubili. Il covid, per esempio, ha rallentato tantissimo il nostro appello. Adesso, però, con i fondi del PNRR il Ministero della Giustizia si è impegnato a velocizzare tantissimo i processi ponendosi in linea con le durate medie europee. Confidiamo in questo.

IMPORTANTE

A noi interessa unicamente che sia accertata la violazione della Direttiva UE che salvaguarda i diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda. La violazione è stata commessa solo dallo Stato italiano e non da Poste Italiane, che ne ha solo beneficiato. Il ricorso in Cassazione, pertanto, sarà proposto unicamente nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che rappresenta lo Stato italiano, e non anche nei confronti di Poste italiane. Ciò vi pone al riparo da qualsiasi problematica potreste incontrare, compreso il discorso degli accordi per il prepensionamento.       

Per qualsiasi richiesta di chiarimento, il comitato si è reso disponibile a raccogliere eventuali quesiti da sottoporci e, eventualmente, ad organizzare incontri telematici. 

Attendiamo un riscontro e, nel frattempo, Vi porgiamo un caro saluto.

 Studio Legale 
Gallone & Urso 

  

00192  Roma  Viale Giulio Cesare 51/A - Tel/Fax  06.68.80.62.75 - 347.0704016 - 339.5735545