Confermato il principio della salvaguardia quando l’ente pubblico diventa privato
Pinerolo, Telecom privatizzata
deve rispettare i diritti pecuniari
Corte di Giustizia europea 14.9.2000
La sentenza della Corte di Giustizia del 14 Settembre 2000
ha sancito la salvaguardia dei diritti economici dei lavoratori anche se l’ente
pubblico presso il quale hanno lavorato si è trasformato in un soggetto privato.
Il giudicato, emesso a seguito del rinvio pregiudiziale operato dal pretore di Pinerolo
nell’ambito di una controversia che opponeva due dipendenti alla Telecom Italia,
si pone in linea con altri pronunciamenti laddove la definizione di “lavoratore”
ha valenza comunitaria, non rilevando (contrariamente a quanto sostenuto dalla Telecom)
la natura pubblica o privata dell’ente per il quale si lavora, purché i lavoratori
siano tutelati come tali dal diritto interno dello Stato. Alla luce di tale principio,
i lavoratori conservano i diritti pecuniari dovendosi considerare unitario il rapporto
di lavoro iniziato con l’azienda di stato per i servizi telefonici (Asst) e proseguito
con la Iritel ( incorporata successivamente dalla Sip, prima di divenire Telecom
Italia Spa.). La Corte ha ritenuto applicabile l’art 1 della direttiva n 187/77/Ce
che disciplina il mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento
di imprese.
SENTENZA DELLA CORTE (Sesta Sezione)
14 settembre 2000
«Direttiva 77/187/CEE - Salvaguardia dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti
d’imprese - Trasferimento di un’impresa, esercita da un ente pubblico integrato
nell’amministrazione dello Stato, ad una società di diritto privato a capitale pubblico
- Nozione di lavoratore - Presa in considerazione dell’anzianità complessiva dei
lavoratori da parte del cessionario»
Nel procedimento C-343/98,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte,
a norma dell’art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234 CE), dal Pretore di Pinerolo
nella causa dinanzi ad esso pendente tra
Renato Collino,
Luisella Chiappero
e
Telecom Italia SpA,
domanda vertente sull’interpretazione della direttiva del Consiglio 14 febbraio
1977, 77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri
relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di
imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti (GU L 61, pag. 26),
LA CORTE (Sesta Sezione),
composta dai signori J.C. Moitinho de Almeida, presidente di sezione, C. Gulmann
e J.-P. Puissochet (relatore), giudici,
avvocato generale: S. Alber
cancelliere: H.A. Rühl, amministratore principale
viste le osservazioni scritte presentate:
per il signor Collino e la signora Chiappero, dagli avv.ti C. Dal Piaz e S.
Viale, del foro di Torino;
per la Telecom Italia SpA, dagli avv.ti R. Pessi e M. Rigi Luperti, del foro
di Roma;
per il governo austriaco, dalla signora C. Pesendorfer, Oberrätin presso il
Bundeskanzleramt, in qualità di agente;
per il governo finlandese, dal signor H. Rotkirch, valtionasiamies, in qualità
di agente;
per il governo del Regno Unito, dalla signora R. Magrill, Treasury Solicitor’s
Department, in qualità di agente, assistita dal signor C. Lewis, barrister;
per la Commissione delle Comunità europee, dai signori D. Gouloussis, consigliere
giuridico, e A. Aresu, membro del servizio giuridico, in qualità di agenti,
vista la relazione d’udienza,
sentite le osservazioni orali del signor Collino e della signora Chiappero,
rappresentati dagli avv.ti C. Dal Piaz e S. Viale, della Telecom Italia SpA, rappresentata
dall’avv. M. Rigi Luperti, del governo finlandese, rappresentato dalla signora T.Pynnä,
valtionasiamies, in qualità di agente, e della Commissione, rappresentata dal signor
D. Gouloussis e dal signor E. Traversa, membro del servizio giuridico, in qualità
di agente, all’udienza del 25 novembre 1999,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 18
gennaio 2000,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1.
Con ordinanza 3 settembre 1998, pervenuta in cancelleria il 21 settembre seguente,
il Pretore di Pinerolo ha sottoposto a questa Corte, a norma dell’art. 177 del Trattato
CE (divenuto art. 234 CE), due questioni pregiudiziali[1] relative all’interpretazione della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977,
77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri
relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di
imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti (GU L 61, pag. 26; in prosieguo:
la «direttiva»).
2.
Tali questioni sono state sollevate nell’ambito di una controversia che oppone
il signor Collino e la signora Chiappero alla Telecom Italia SpA (in prosieguo:
la «Telecom Italia»).
Norme comunitarie
3.
Ai termini del suo art. 1, n. 1, la direttiva si applica ai trasferimenti di
imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti ad un nuovo imprenditore in
seguito a cessione contrattuale o a fusione.
4.
L’art. 3, n. 1, primo comma, della direttiva dispone che i diritti e gli obblighi
che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro
esistente alla data del trasferimento ai sensi dell’art. 1, n. 1, sono, in conseguenza
di tale trasferimento, trasferiti al cessionario.
Norme nazionali
5.
L’attuazione della direttiva è garantita, in Italia, dall’art. 2112 del codice
civile che dispone in particolare che, in caso di trasferimento d’azienda, il rapporto
di lavoro continua con l’acquirente ed il lavoratore conserva tutti i diritti che
ne derivano.
6.
L’art. 34 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, relativo alla razionalizzazione
dell’organizzazione delle pubbliche amministrazioni e alla revisione della normativa
inmateria di pubblico impiego (Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana n.
30 del 3 febbraio 1993, Supplemento ordinario; in prosieguo: il «decreto legislativo
n. 29/93»), come modificato, prevede che, in caso di trasferimento o di conferimento
di attività svolte da pubbliche amministrazioni, da enti pubblici o dai loro stabilimenti
o strutture ad altri soggetti di diritto, pubblici o privati, l’art. 2112 del codice
civile si applichi al personale che passa alle dipendenze di questi ultimi, fatte
salve le disposizioni speciali.
7.
L’art. 1, n. 1, della legge 29 gennaio 1992, n. 58, relativa alla riforma del
settore delle telecomunicazioni (Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana
n. 29 del 5 febbraio 1992; in prosieguo: la «legge n. 58/92»), ha autorizzato
il Ministro delle Poste e Telecomunicazioni a concedere, in via esclusiva, i servizi
di telecomunicazioni ad uso pubblico, fino ad allora gestiti dall’amministrazione
delle Poste e Telecomunicazioni e dall’Azienda di Stato per i servizi telefonici
(in prosieguo: l’«ASST»), ad una società costituita a tale scopo dalla holding di
Stato «Istituto per la ricostruzione industriale» (in prosieguo: l’«IRI»). La legge
n. 58/92 ha altresì previsto che la nuova società subentri in tutti i diritti e
gli obblighi connessi all’esercizio dei servizi interessati nonché l’abolizione
dell’ASST.
8.
La legge n. 58/92 ha peraltro istituito un regime speciale e derogatorio rispetto
alla disciplina generale sul trasferimento di imprese contenuta nell’art. 2112 del
codice civile. In primo luogo, il personale dell’ASST aveva la possibilità di rimanere
nel pubblico impiego, oppure divenire dipendente della nuova società concessionaria
(art. 4, n. 3). In secondo luogo, la legge n. 58/92 rimetteva alla contrattazione
collettiva in sede sindacale il compito di assicurare al personale della nuova società
«un trattamento economico globalmente non inferiore a quello precedentemente goduto»
(art. 4, n. 5). Infine, il personale che non aveva optato per il suo mantenimento
nel pubblico impiego aveva diritto alla liquidazione del trattamento di buonuscita
alla data di cessazione del suo rapporto con l’amministrazione (art. 5, n. 5).
9.
Con decreto 29 dicembre 1992 (Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana
n. 306 del 31 dicembre 1992), il Ministro delle Poste e Telecomunicazioni concedeva
servizi di telecomunicazioni ad uso pubblico gestiti dall’amministrazione delle
Poste e delle Telecomunicazioni e dall’ASST alla società Iritel SpA (in prosieguo:
l’«Iritel»). Il 18 aprile 1994 la società italiana per le telecomunicazioni SpA
(in prosieguo: la «SIP»), altra società controllata dall’IRI, ha incorporato l’Iritel
prima di assumere la denominazione Telecom Italia SpA.
La causa principale
10.
Fino al 31 ottobre 1993 il signor Collino e la signora Chiappero erano dipendenti
dell’ASST, ente di Stato allora incaricato della gestione di taluni servizi di telecomunicazioni
ad uso pubblico nel territorio italiano. Il 1° novembre 1993 essi venivano trasferiti
alla società Iritel, costituita dall’IRI per subentrare all’ASST ai sensi della
legge n. 58/92. Gli stessi venivano assunti il 16 maggio 1994 dalla SIP, divenuta
poi Telecom Italia, quando questa ha incorporato l’Iritel.
11.
Il signor Collino e la signora Chiappero, che sono attualmente in quiescenza,
hanno proposto il 16 ottobre 1997 dinanzi al Pretore di Pinerolo un ricorso avverso
la Telecom Italia al fine di contestare le modalità del loro trasferimento dall’ASST
all’Iritel.
12.
I ricorrenti si sono avvalsi, in primo luogo, della nullità parziale dell’accordo
sindacale 8 aprile 1993, stipulato in particolare fra le società Iritel e SIP, da
un lato, e le organizzazioni sindacali più rappresentative, dall’altro, al fine
di attuare l’art. 4, n. 5, della legge n. 58/92. Tale accordo prevedeva infatti
che il calcolo degli aumenti retributivi per l’anzianità maturata successivamente
al 1° novembre 1993 doveva effettuarsi, per gli ex dipendenti dell’ASST trasferiti
all’Iritel, secondo i criteri stabiliti dall’art. 24, terzo comma, del Contratto
collettivo nazionale lavoratori per i dipendenti neo assunti. Orbene, i ricorrenti
ritengono che avrebbero dovuto fruire delle norme per il calcolo dell’anzianità
previste dall’art. 24, primo e secondo comma, del suddetto contratto collettivo
in favore dei dipendenti già assunti dalla SIP al momento della stipulazione del
detto contratto collettivo, avvenuta il 30 giugno 1992. Tale soluzione, che terrebbe
conto dell’unicità del rapporto di lavoro sin dalla loro assunzione presso l’ASST,
sarebbe dettata dall’art. 2112 del codice civile che, nel caso di trasferimento
di azienda, prevede la continuazione del rapporto di lavoro con l’acquirente.
13.
Il signor Collino e la signora Chiappero hanno contestato, in secondo luogo,
il fatto che il trattamento di buonuscita, cui ogni dipendente di diritto pubblico
ha diritto all’atto della cessazione del suo rapporto di lavoro con l’amministrazione,
sia stata loro liquidata quando hanno lasciato l’ASST senza che, per fatto loro
non imputabile, abbiano potuto riversare tale indennità alla SIP. Infatti, in quest’ultimo
caso, il loro trattamento di fine rapporto, che spetta ad ogni dipendente di diritto
privato in caso di cessazione del rapporto di lavoro e di cui essi hanno fruito
al momento della loro collocazione in quiescenza, sarebbe stato calcolato sulla
base dell’intero periodo lavorativo. Orbene, l’importo di tale trattamento unico
sarebbe stato superiore a quello dei due trattamenti da essi percepiti.
14.
La Telecom Italia ha fatto valere che ambedue le domande erano infondate dato
che nessun trasferimento di azienda ai sensi dell’art. 2112 [2] del codice civile era avvenuto tra l’ASST e l’Iritel. Infatti, da
un lato, un ente pubblico come l’ASST non costituirebbe un’azienda ai sensi di tale
disposizione e, dall’altro, l’esercizio dell’attività in questione sarebbe subordinato
al rilascio di una concessione amministrativa.
15.
Nella sua ordinanza di rinvio il Pretore considera anzitutto che un trasferimento
di azienda è obiettivamente avvenuto nel caso di specie in quanto tutti i beni e
i diritti facenti capo all’ASST sono stati trasferiti all’Iritel e la maggioranza
dei dipendenti dell’ASST è stata assunta da quest’ultima società per svolgere, negli
stessi locali, le medesime mansioni prestate in passato.
16.
Il Pretore rileva tuttavia che, anche se la direttiva considerata è stata recepita
nel diritto italiano con l’art. 2112 del codice civile, l’art. 34 del decreto legislativo
n. 29/93 prevede l’applicazione di tale disposizione in caso di trasferimento di
azienda tra un ente di diritto pubblico e un ente di diritto privato solo fatte
salve norme speciali. Orbene, la legge n. 58/92 ha per l’appunto istituito un regime
speciale e derogatorio rispetto alla disciplina generale sul trasferimento di azienda.
Quindi, secondo il diritto italiano, i ricorrenti non possono avvalersi dell’art.
2112 del codice civile a sostegno dei loro ricorsi.
17.
Il Pretore nutre tuttavia dubbi sulla compatibilità con la direttiva del regime
di deroga istituito con la legge n. 58/92. Egli si chiede, in primo luogo, se la
direttiva s’applichi ad un trasferimento avvenuto tra un ente pubblico ed una società
di diritto privato controllata da un altro ente pubblico in base a decisioni di
amministrazioni pubbliche e mediante una concessione amministrativa. Egli si interroga,
in secondo luogo, sulla portata del trasferimento dei diritti e degli obblighi dal
cedente al cessionario imposto dalla direttiva, ammesso che questa sia applicabile.
18.
Ritenendo che, in tali circostanze, la soluzione della controversia dipendesse
dall’interpretazione della direttiva, il Pretore di Pinerolo ha deciso di sospendere
il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1)Se rientri nel campo di operatività dell’art. 1 della direttiva CEE 77/187
il caso di un trasferimento oneroso, autorizzato con legge dello Stato e disposto
con decreto di un Ministro, di un’impresa esercita da un ente pubblico diretta emanazione
dello Stato ad una Società privata, costituita da altro ente pubblico che ne detiene
tutte le azioni, quando l’attività oggetto del trasferimento sia affidata alla Società
privata in regime di concessione amministrativa.
Nel caso di risposta affermativa al quesito sub 1)
2) a)Se l’art. 3.1 della direttiva 77/187 imponga di ritenere obbligatoria la
continuazione del rapporto di lavoro con il cessionario con il conseguente mantenimento
dell’anzianità di servizio del lavoratore sin dal giorno dell’assunzione presso
il cedente e il diritto alla liquidazione di un unico trattamento di fine rapporto
che consideri in modo unitario il periodo lavorativo prestato presso il cedente
e presso il cessionario.
b)Se, comunque, il predetto art. 3.1 debba essere interpretato nel senso che
tra i diritti del lavoratore che si trasferiscono al concessionario rientrino anche
posizioni di vantaggio conseguite dal lavoratore presso il cedente quali l’anzianità
di servizio se a questa risultano essere collegati, nella contrattazione collettiva
vigente presso il cessionario, diritti di carattere economico».
Sulla ricevibilità del rinvio pregiudiziale
19.
La Telecom Italia sostiene che le questioni pregiudiziali sollevate dal giudice
a quo sono irricevibili in quanto quest’ultimo non potrebbe, comunque, applicare
le disposizioni della direttiva alla causa principale, la quale vede opporsi esclusivamente
privati.
20.
E’ vero che, per giurisprudenza costante, una direttiva di per sé non può creare
obblighi a carico di un singolo e non può quindi essere fatta valere in quanto tale
nei confronti dello stesso (v., in particolare, sentenze 14 luglio 1994, causa C-91/92,
Faccini Dori, Racc. pag. I-3325, punto 20, e 7 marzo 1996, causa C-192/94, El Corte
Inglés, Racc. pag. I-1281, punto 15).
21.
Tuttavia, occorre ricordare che, nell’applicare il diritto nazionale, a prescindere
dal fatto che si tratti di norme precedenti o successive alla direttiva, il giudice
nazionale che deve interpretare il proprio diritto nazionale deve farlo quanto più
possibile alla luce della lettera e dello scopo della direttiva per conseguire il
risultato perseguito da quest’ultima e conformarsi pertanto all’art. 189, terzo
comma, del Trattato CE (divenuto art. 249, terzo comma, CE) (v., in particolare,
sentenze Faccini Dori, precitata, punto 26, e 23 febbraio 1999, causa C-63/97, BMW,
Racc. pag. I-905, punto 22).
22.
Peraltro, gli amministrati, quando sono in grado di far valere una direttiva
nei confronti dello Stato, possono farlo indipendentemente dalla veste nella quale
questo agisce, come datore di lavoro o come pubblica autorità. In entrambi i casi
è infatti opportuno evitare che lo Stato possa trarre vantaggio dalla sua inosservanza
del diritto comunitario (v., in particolare, sentenze 26 febbraio 1986, causa 152/84,
Marshall, Racc. pag. 723, punto 49, e 12 luglio 1990, causa C-188/89, Foster e a.,Racc.
pag. I-3313, punto 17).
23.
La Corte ha così affermato che fa parte degli enti ai quali si possono opporre
le norme di una direttiva idonea a produrre effetti diretti un organismo che, indipendentemente
dalla sua forma giuridica, sia stato incaricato, con un atto della pubblica autorità,
di prestare, sotto il controllo di quest’ultima, un servizio di interesse pubblico
e che dispone a questo scopo di poteri che eccedono i limiti di quelli risultanti
dalle norme che si applicano nei rapporti fra singoli (precitata sentenza Foster
e a., punto 20).
24.
E’ compito del giudice nazionale accertare, in base alle precedenti considerazioni,
se la direttiva potesse essere fatta valere nei confronti dell’Iritel, alla quale
la Telecom Italia è subentrata.
25.
Fatte salve tutte le precedenti osservazioni, occorre risolvere le questioni
sollevate.
Sulla prima questione
26.
Con la prima questione il giudice a quo mira ad accertare se l’art. 1, n. 1,
della direttiva debba essere interpretato nel senso che quest’ultima può applicarsi
ad una situazione in cui un ente che gestisce servizi di telecomunicazioni ad uso
pubblico ed è gestito da un ente pubblico integrato nell’amministrazione dello Stato
costituisce oggetto, a seguito di decisioni delle pubbliche amministrazioni, di
un trasferimento a titolo oneroso, sotto forma di una concessione amministrativa,
ad una società di diritto privato costituita da un altro ente pubblico che ne detiene
tutte le azioni.
27.
La Telecom Italia sostiene che la direttiva non si può applicare in siffatto
caso in quanto il trasferimento non risulterebbe da una cessione contrattuale o
da una fusione ai sensi dell’art. 1, n. 1, della direttiva stessa. Inoltre, la direttiva
implicherebbe che il trasferimento riguardi un ente economico. Orbene l’ASST, quando
gestiva servizi di telecomunicazioni ad uso pubblico, garantiva, in favore della
collettività, un servizio di pubblico interesse e non perseguiva alcun obiettivo
di natura economica.
28.
Il signor Collino e la signora Chiappero, i governi austriaco, finlandese e
del Regno Unito nonché la Commissione sostengono invece, riferendosi alla giurisprudenza
della Corte, che la direttiva si applica in quanto il trasferimento di cui trattasi
ha riguardato un ente incaricato di svolgere un’attività economica. Né l’integrazione
iniziale di questo ente nello Stato, né il fatto che tale trasferimento risulti
da una legge e da un decreto, né il fatto che l’attività svolta sia soggetta ad
un regime di concessione amministrativa possono, a loro avviso, inficiare tale tesi.
29.
La Commissione rileva tuttavia che i dipendenti dell’ASST erano soggetti ad
uno statuto di diritto pubblico fino al loro trasferimento all’Iritel. Orbene, la
Corte ha affermato che il beneficio della direttiva può essere invocato soltanto
da persone che sono, in un modo o nell’altro, tutelate in quanto lavoratori dalle
norme dello Stato membro di cui trattasi (sentenza 11 luglio 1985, causa 105/84,
Danmols Inventar, Racc. pag. 2639, punto 27). La Commissione, sostenuta in udienza
dal governo finlandese, afferma tuttavia che la direttiva si applicherebbe se risultasse
che le funzioni svolte dai dipendenti dell’ASST erano, in sostanza, analoghe a quelle
esercitate dai dipendenti di una società di diritto privato soggetta al diritto
nazionale del lavoro. Tale interpretazione sarebbe corroborata, a suo avviso, dal
fatto che l’art. 3 della direttiva si riferisce non soltanto ai contratti di lavoro,
ma anche, più in generale, ai rapporti di lavoro.
30.
Da un lato, conformemente ad una giurisprudenza costante, la direttiva si applica
a qualsiasi trasferimento di un ente che esercita un’attività economica, indipendentemente
dal fatto che esso persegua o meno un fine di lucro (v., in particolare, sentenza
8 giugno 1994, causa C-382/92, Commissione/Regno Unito, Racc. pag. I-2435, punti
44-46).
31.
Per contro, non costituisce un trasferimento di impresa, ai sensi della direttiva,
la riorganizzazione di strutture della pubblica amministrazione o il trasferimento
di funzioni amministrative tra pubbliche amministrazioni. Infatti, in tal caso,
il trasferimento ha ad oggetto attività comportanti l’esercizio di pubblici poteri
(sentenza 15 ottobre 1996, causa C-298/94, Henke, Racc. pag. I-4989, punti 14 e
17).
32.
Così, il fatto che il servizio trasferito sia stato concesso da un ente di diritto
pubblico, quale un comune, non può escludere l’applicazione della direttiva in quanto
l’attività considerata non rientra nell’esercizio dei pubblici poteri (sentenza
10 dicembre 1998, cause riunite C-173/96 e C-247/96, Hidalgo e a., Racc. pag. I-8237,
punto 24).
33.
Orbene, la Corte ha affermato - è vero nell’ambito del diritto della concorrenza,
ma tale criterio è applicabile nella fattispecie - che la gestione di impianti pubblici
di telecomunicazioni e la loro messa a disposizione degli utenti, contro il pagamento
di canoni, costituiscono un’attività d’impresa (sentenze 20 marzo 1985, causa 41/83,
Italia/Commissione, Racc. pag. 873, punto 18, e, implicitamente, 17 novembre 1992,
cause riunite C-271/90, C-281/90 e C-289/90, Spagna e a./Commissione, Racc. pag.
I-5833). Inoltre, il fatto che l’esercizio della rete pubblica di telecomunicazioni
sia affidato ad un ente che fa parte integrante della pubblica amministrazione non
può sottrarre quest’ultimo alla qualifica di impresa pubblica (sentenze 27 ottobre
1993, causa C-69/91, Decoster, Racc. pag. I-5335, punto 15, e Taillandier, causa
C-92/91, Racc. pag. I-5383, punto 14).
34.
D’altro lato, il fatto che il trasferimento risulti da decisioni unilaterali
delle pubbliche amministrazioni e non da un concorso di volontà non esclude l’applicazione
della direttiva (sentenza 19 maggio 1992, causa C-29/91, Redmond Stichting,Racc.
pag. I-3189, punti 15-17). La Corte ha così affermato che la direttiva si applica
ad una situazione in cui un’autorità pubblica decida di cessare di accordare sovvenzioni
ad una persona giuridica che si occupa di fornire un’assistenza a taluni tossicomani
e provoca così la cessazione completa e definitiva delle attività di quest’ultima,
per trasferirle ad un’altra persona giuridica che persegue un fine analogo (precitata
sentenza Redmond Stichting, punto 21).
35.
In tali circostanze, un trasferimento come quello avvenuto nella causa principale
rientra nella sfera d’applicazione ratione materiae della direttiva.
36.
Va tuttavia ricordato che il beneficio della direttiva può essere invocato solo
dalle persone che, nello Stato membro considerato, sono tutelate in quanto lavoratori
in base alla normativa nazionale in materia di diritto del lavoro (precitate sentenze
Danmols Inventar, punti 27 e 28, Redmond Stichting, punto 18, e Hidalgo e a., punto
24).
37.
Tale interpretazione è dedotta dal fatto che la direttiva mira soltanto ad un’armonizzazione
parziale della materia di cui trattasi, estendendo essenzialmente la tutela garantita
ai lavoratori in modo autonomo dal diritto dei vari Stati membri anche all’ipotesi
del trasferimento dell’impresa. Il suo scopo è quindi quello di garantire, nei limiti
del possibile, la continuazione del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro,
senza modifiche, con il concessionario, onde impedire che i lavoratori coinvolti
nel trasferimento dell’impresa vengano collocati in una posizione meno favorevole
per il solo fatto del trasferimento. Essa non mira tuttavia ad instaurare un livello
di tutela uniforme nell’intera Comunità secondo criteri comuni (precitata sentenza
Danmols Inventar, punto 26).
38.
Da tale giurisprudenza risulta che, contrariamente a quanto sostengono il governo
finlandese e la Commissione, la direttiva non si applica alle persone che non sono
tutelate in quanto lavoratori in base alla normativa nazionale in materia di diritto
del lavoro, indipendentemente dalla natura delle funzioni svolte da dette persone.
39.
La precitata giurisprudenza Danmols Inventar è stata del resto sancita con la
direttiva del Consiglio 29 giugno 1998, 98/50/CE, che modifica la direttiva 77/187
(GU L 201, pag. 88), che dev’essere recepita nel diritto degli Stati membri entro
il 17 luglio 2001. L’art. 2, n. 1, lett. d), della direttiva così modificata definisce
infatti «lavoratore» ogni persona che nello Stato membro considerato è tutelata
come un lavoratore nell’ambito del diritto nazionale del lavoro.
40.
Nella specie, gli elementi del fascicolo consentono di ritenere che, al momento
del trasferimento di cui trattasi nella causa principale, i dipendenti dell’ASST
erano soggetti ad uno statuto di diritto pubblico e non al diritto del lavoro. Tocca
tuttavia al giudice nazionale accertarsene.
41.
Pertanto, si deve risolvere la prima
questione come segue: l’art. 1, n. 1, della direttiva dev’essere interpretato nel
senso che quest’ultima può applicarsi ad una situazione in cui un ente che gestisce
servizi di telecomunicazioni ad uso pubblico ed è gestito da un ente pubblico integrato
nell’amministrazione dello Stato costituisce oggetto, a seguito di decisioni delle
pubbliche amministrazioni, di un trasferimento a titolo oneroso, sotto forma di
una concessione amministrativa, ad una società di diritto privato costituita da
un altro ente pubblico che ne detiene tutte le azioni. Occorre tuttavia che le persone
coinvolte in siffatto trasferimento siano state inizialmente tutelate in quanto
lavoratori in base al diritto nazionale in materia di diritto del lavoro.
Sulla seconda questione
42.
Con le due parti della sua seconda questione, che occorre esaminare congiuntamente,
il giudice di rinvio mira ad appurare se l’art. 3, n. 1, della direttiva debba essere
interpretato nel senso che, per il calcolo dei diritti di natura pecuniaria che
sono collegati presso il cessionario all’anzianità dei lavoratori, quali un trattamento
di fine rapporto o aumenti di stipendio, il cessionario deve prendere in considerazione
tutti gli anni effettuati dal personale trasferito tanto alle sue dipendenze quanto
a quelle del cedente.
43.
La Telecom Italia considera innanzi tutto che la prima parte della seconda questione,
che verte sul calcolo del trattamento di fine rapporto, sia irricevibile in quanto
non risponde ad una necessità oggettiva per la soluzione della causa principale
(v., in particolare, sentenza 12 marzo 1998, causa C-319/94, Dethier Équipment,
Racc. pag. I-1061). Infatti, il diritto italiano avrebbe espressamente previsto
la facoltà per i dipendenti dell’ASST passati all’Iritel di ottenere, mediante il
trasferimento a quest’ultima della loro buonuscita, un unico trattamento di fine
rapporto calcolato in base a tutti i loro anni di servizio presso entrambi i datori
di lavoro.
44.
A questo proposito, occorre ricordare che spetta esclusivamente al giudice nazionale,
cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda
decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze di
ciascuna causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado
di pronunciare la propria sentenza sia la rilevanza delle questioni che sottopone
alla Corte (v., in particolare, sentenze 1° dicembre 1998, causa C-200/97, Ecotrade,
Racc. pag. I-7907, punto 25, e sentenza 17 giugno 1999, causa C-295/97, Piaggio,
Racc. pag. I-3735, punto 24). Il rigetto di una domanda proposta da un giudice nazionale
è possibile soltanto qualora risulti in modo manifesto che l’interpretazione o l’esame
della validità di una norma comunitaria, chiesti dal detto giudice, non hanno alcuna
relazione con l’effettività o l’oggetto della causa principale (v., in particolare,
sentenze 21 gennaio 1999, cause riunite C-215/96 e C-216/96, Bagnasco e a., Racc.
pag. I-135, punto 20).
45.
Nella specie, il giudice a quo nell’ordinanza di rinvio ha affermato che, in
forza della legge n. 58/92, il personale dell’ASST che non aveva optato per il suo
mantenimento nella pubblica amministrazione aveva diritto alla liquidazione del
trattamento di buonuscita alla data di cessazione del suo rapporto con l’amministrazione.
Ha del pari osservato che il signor Collino e la signora Chiappero hanno contestato
il versamento della buonuscita in quanto, al momento del loro pensionamento, essa
li avrebbe privati, per motivi indipendenti dalla loro volontà, di un trattamento
di fine rapporto calcolato in base a tutti i loro anni di servizio presso il cedente
e presso il cessionario.
46.
Ne consegue che l’interpretazione del diritto comunitario chiesta dal giudice
a quo nella prima parte della sua seconda questione non è manifestamente priva di
collegamento con l’oggetto della causa principale e che tale questione è quindi
ricevibile.
47.
Nel merito, la Telecom Italia propone di risolvere negativamente le due parti
della questione sollevata. Sostiene infatti che il lavoratore trasferito, anche
se conserva i diritti scaturenti dal suo rapporto di lavoro con il suo ex datore
di lavoro, non può fruire dei vantaggi vigenti presso il suo nuovo datore di lavoro
in base agli anni di servizio precedenti al suo trasferimento.
48.
Il signor Collino e la signora Chiappero, i governi austriaco, finlandese e
del Regno Unito, nonché la Commissione, controdeducono che, ai sensi dell’art. 3,
n. 1, della direttiva, il cessionario è vincolato da tutti gli obblighi contratti
dal cedente nei confronti dei suoi lavoratori, ivi compresi gli obblighi sorti prima
del trasferimento. Ne consegue che per il calcolo dei diritti del lavoratore collegati
all’anzianità il cessionario deve prendere in considerazione anche gli anni di servizio
da questo effettuati prima del suo trasferimento.
49.
In forza dell’art. 3, n. 1, primo comma, della direttiva, i diritti e gli obblighi
che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro
esistente alla data del trasferimento ai sensi dell’art. 1, n. 1, sono, in conseguenza
di tale trasferimento, trasferiti al cessionario. La direttiva mira quindi a garantire
laconservazione dei diritti dei lavoratori in caso di cambiamento dell’imprenditore
consentendo loro di rimanere alle dipendenze del nuovo datore di lavoro alle stesse
condizioni pattuite con il cedente (v. sentenze 5 maggio 1988, cause riunite 144/87
e 145/87, Berg e Busschers, Racc. pag. 2559, punto 12, e 25 luglio 1991, causa C-362/89,
D’Urso e a., Racc. pag. I-4105, punto 9).
50.
Come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 91 delle sue conclusioni,
l’anzianità acquisita dai lavoratori trasferiti presso il loro originario datore
di lavoro non costituisce, di per sé, un diritto che questi potrebbero far valere
presso il loro nuovo datore di lavoro. Per contro, l’anzianità serve a determinare
taluni diritti dei lavoratori di natura pecuniaria e sono questi diritti che dovranno,
se del caso, essere salvaguardati dal cessionario in modo identico al cedente.
51.
Ne consegue che, per il calcolo di diritti di natura pecuniaria, quali un trattamento
di fine rapporto o aumenti di stipendio, il cessionario è tenuto a prendere in considerazione
tutti gli anni di servizio effettuati dal personale trasferito nella misura in cui
questo obbligo risultava dal rapporto di lavoro che vincolava tale personale al
cedente e conformemente alle modalità pattuite nell’ambito di detto rapporto.
52.
Tuttavia, ove il diritto nazionale consenta, al di fuori dell’ipotesi di un
trasferimento di impresa, di modificare il rapporto di lavoro in senso sfavorevole
ai lavoratori, in particolare per quanto riguarda la loro tutela contro il licenziamento
e le loro condizioni di retribuzione, una modifica del genere non è esclusa per
il semplice fatto che l’impresa sia stata nel frattempo trasferita e che, di conseguenza,
l’accordo sia stato concluso con il nuovo imprenditore. Infatti, dato che il cessionario,
a norma dell’art. 3, n. 1, della direttiva, è surrogato al cedente nei diritti e
negli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro, questo può essere modificato nei
confronti del cessionario negli stessi limiti in cui la modifica sarebbe stata possibile
nei confronti del cedente; ben inteso, in nessun caso il trasferimento dell’impresa
può costituire di per sé il motivo di tale modifica (v., in particolare, sentenze
10 febbraio 1988, causa 324/86, Tellerup, cosiddetta «Daddy’s Dance Hall», Racc.
pag.739, punto 17, e 12 novembre 1992, causa C-209/91, Watson Rask e Christensen,
Racc. pag. I-5755, punto 28).
53.
Si deve pertanto risolvere la seconda questione come segue: l’art. 3, n. 1,
primo comma, della direttiva deve essere interpretato nel senso che, per il calcolo
dei diritti di natura pecuniaria collegati presso il cessionario all’anzianità dei
lavoratori, quali un trattamento di fine rapporto o aumenti di stipendio, il cessionario è tenuto a prendere
in considerazione tutti gli anni effettuati dal personale trasferito tanto alle
sue dipendenze quanto a quelle del cedente, nella misura in cui tale obbligo risultava
dal rapporto di lavoro che vincolava tale personale al cedente e conformemente
alle modalità pattuite nell’ambito di detto rapporto. La direttiva non osta tuttavia
a che il cessionario modifichi i termini di detto rapporto di lavoro ove il diritto
nazionale consenta siffatta modifica al di fuori dell’ipotesi di un trasferimento
d’impresa.
Sulle spese
54.
Le spese sostenute dai governi austriaco, finlandese e del Regno Unito, nonché
dalla Commissione, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar
luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente
procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui
spetta quindi statuire sulle spese.
Per questi motivi,
LA CORTE (Sesta Sezione),
pronunciandosi sulle questioni sottopostele dal Pretore di Pinerolo con ordinanza
3 settembre 1998, dichiara:
1)L’art. 1, n. 1, della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE,
concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al
mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di
stabilimenti o di parti di stabilimenti, dev’essere interpretato nel senso che quest’ultima
può applicarsi ad una situazione in cui un ente che gestisce servizi di telecomunicazioni
ad uso pubblico ed è gestito da un ente pubblico integrato nell’amministrazione
dello Stato costituisce oggetto, a seguito di decisioni delle pubbliche amministrazioni,
di un trasferimento a titolo oneroso, sotto forma di una concessione amministrativa,
ad una società di diritto privato costituita da un altro ente pubblico che ne detiene
tutte le azioni. Occorre tuttavia che le persone coinvolte in siffatto trasferimento
siano state inizialmente tutelate in quanto lavoratori in base al diritto nazionale
nell’ambito del diritto del lavoro.
2)L’art. 3, n. 1, primo comma, della direttiva 77/187 deve essere interpretato
nel senso che, per il calcolo dei diritti di natura pecuniaria collegati presso
il cessionario all’anzianità dei lavoratori, quali un trattamento di fine rapporto
o aumenti di stipendio, il cessionario è tenuto a prendere in considerazione tutti
gli anni effettuati dal personale trasferito tanto alle sue dipendenze quanto a
quelle del cedente, nella misura in cui tale obbligo risultava dal rapporto di lavoro
che vincolava tale personale al cedente e conformemente alle modalità pattuite nell’ambito
di detto rapporto. La direttiva 77/187 non osta tuttavia a che il cessionario modifichi
i termini di detto rapporto di lavoro ove il diritto nazionale consenta siffatta
modifica al di fuori dell’ipotesi di un trasferimento d’impresa.
Moitinho de Almeida
Gulmann
Puissochet
|
Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 14 settembre 2000.
Il cancelliere
Il presidente della Sesta Sezione
R. Grass
J.C. Moitinho de Almeida
1: Lingua processuale:
l’italiano.
[1] Accanto alla giurisdizione
in materia contenziosa, è attribuita alla Corte ai sensi dell’art 177 del Trattato
CEE una giurisdizione non contenziosa a titolo pregiudiziale sulla interpretazione
dei trattati e la validità delle interpretazioni degli atti delle istituzioni comunitarie.
E’ una attribuzioni di altissimo rilievo finalizzata ad evitare che i giudici nazionali
attribuiscano significati diversi a norme dei Trattati. In tal modo si cerca una
uniformità nell’interpretazione del diritto.
[2] L’articolo prevede che in caso di trasferimento di azienda
il dipendente prosegue il suo rapporto di lavoro con l’acquirente con relativa conservazione
dei diritti che ne derivano. Non solo, ma il lavoratore può rivolgersi sia al venditore
che all’acquirente dell’azienda per tutti i crediti maturati al tempo del trasferimento.
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