SENTENZA N. 366 ANNO 2006
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Franco BILE; Giudici:
Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA,
Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA,
Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo
Maria NAPOLITANO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 53,
comma 6 (recte: art. 53, comma 6, lettera a), della legge 27 dicembre
1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), promossi
dal Tribunale di Roma nei procedimenti civili rispettivamente instaurati da S.
V. D. F. e da M. G. contro la Gestione Commissariale Fondo Buonuscita Poste
Italiane s.p.a. – Istituto Postelegrafonici (Ipost), con ordinanze del 4
novembre 2005 e del 14 gennaio 2006, iscritte rispettivamente al n. 82 e al n.
83 del registro ordinanze 2006 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie
speciale, dell'anno 2006.
Visti gli atti di intervento del Presidente
del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 27
settembre 2006 il Giudice relatore Francesco Amirante.
Ritenuto in fatto
1.— Nel corso di due analoghi procedimenti, in cui i ricorrenti,
ex dipendenti postali da epoca antecedente il 28 febbraio 1998, avevano
convenuto in giudizio l'Istituto Postelegrafonici (Ipost), chiedendo, ai sensi
dell'art. 429 del codice di procedura civile e dell'art. 150 delle disposizioni
d'attuazione del detto codice, la rivalutazione dell'indennità di buonuscita
che, all'atto della cessazione del rapporto, essi avevano percepito
nell'importo maturato alla data del 28 febbraio 1998, il Tribunale di Roma, ha
sollevato, con due identiche ordinanze, questione di legittimità
costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, dell'art.
53, comma 6, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la
stabilizzazione della finanza pubblica), nella parte in cui non prevede che
sull'indennità di buonuscita dei dipendenti postali maturata al 28 febbraio
1998 (e calcolata sulla base della retribuzione percepita alla stessa data) si
applichi un meccanismo di indicizzazione o di adeguamento monetario.
Il remittente osserva che la norma non prevede alcun
sistema di adeguamento, nel tempo, dell'indennità di buonuscita quale già
maturata definitivamente, in cifra, alla data del 28 febbraio 1998, ma ancora
non esigibile fino alla cessazione del rapporto, momento in cui essa va
corrisposta.
D'altro canto, secondo il giudice a quo, gli artt. 429
cod. proc. civ. e 150 disp. att. cod. proc. civ. non possono trovare
applicazione perché richiedono che il diritto sia maturato, e cioè sia divenuto
esigibile; cosa che non può dirsi avvenuta, per la buonuscita, fino alla
cessazione del rapporto. Né potrebbe essere utilmente richiamato l'art. 2120
cod. civ. perché l'art. 53, comma 6, in oggetto prevede che la buonuscita si
calcoli secondo la previgente normativa pubblicistica e non secondo l'art. 2120
cod. civ. Inoltre il meccanismo di indicizzazione previsto per il trattamento
di fine rapporto (t.f.r.) in corso di prestazione è incompatibile con la
struttura della buonuscita, che si calcola non già mediante accantonamenti
annui (sui quali, nel t.f.r., viene computata l'indicizzazione), ma
moltiplicando una quota dell'ultima retribuzione annua per gli anni di servizio
utili.
Esclusa – per l'assenza di una qualsivoglia lacuna
normativa – anche l'applicazione analogica dell'art. 5 della legge 29 maggio
1982, n. 297 (Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia
pensionistica), il Tribunale sostiene che la buonuscita «maturata» al 28
febbraio 1998, pur trattandosi di una maturazione meramente contabile ed in
senso atecnico, non possa produrre accessori fino alla data di cessazione del
rapporto. Tuttavia, l'omessa previsione di una «forma di indicizzazione o
adeguamento monetario» per l'indennità in argomento, maturata alla data di
trasformazione dell'ente poste in società per azioni, in relazione al periodo compreso
tra detta data e la cessazione del rapporto, appare al remittente lesiva degli
evocati parametri costituzionali, alla luce sia della natura di retribuzione
differita dell'indennità in esame (come tale soggetta al controllo di
proporzionalità/adeguatezza), sia delle molteplici affermazioni di questa Corte
circa il carattere attuativo dei precetti costituzionali (artt. 1, 3, 4, 34, 36
Cost.) dei meccanismi di adeguamento monetario dei crediti di lavoro. Questi
ultimi, infatti, soddisfano la duplice necessità di salvaguardare il valore
reale dei compensi (dal quale dipende l'adeguatezza degli stessi) e di
garantire il riequilibrio tra le prestazioni di lavoro e le retribuzioni.
Quanto poi all'art. 3 Cost., si realizzerebbe una
disparità di trattamento del tutto ingiustificata non solo tra i lavoratori
delle poste e gli altri dipendenti privati – che usufruiscono di un meccanismo
di indicizzazione annua sul t.f.r. nonchè sull'indennità di anzianità, quale
eventualmente «maturata» alla data del 31 maggio 1982, malgrado tali
provvidenze non siano ancora esigibili – ma anche all'interno della stessa
categoria dei dipendenti postali, in quanto, a parità di retribuzione e di
anzianità di servizio al 28 febbraio 1998, essi percepiscono, per il servizio
prestato fino a detta data, la stessa somma in cifra, sia nel caso in cui la
cessazione del rapporto di lavoro si sia verificata proprio il 28 febbraio
1998, sia nell'ipotesi in cui tale cessazione si sia verificata in un momento
successivo, ancorché – nelle due ipotesi considerate – la medesima somma di
denaro possa avere, rispettivamente, un valore reale sensibilmente diverso.
Né varrebbe evocare ragioni di compatibilità
finanziaria, apparendo evidente che la normale attitudine del denaro a produrre
frutti civili deve ritenersi idonea a fondare una ragionevole presunzione che i
contributi accantonati abbiano prodotto ricchezza, la cui appropriazione appare
ulteriormente ingiustificata.
Quanto alla rilevanza, il Tribunale osserva, infine, che
«l'accoglimento della questione consentirebbe la ricerca nell'ordinamento della
norma da applicare per colmare la lacuna quale prodottasi dalla invocata
pronuncia».
2.— In entrambi i giudizi è intervenuto il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale
dello Stato, che ha concluso per la manifesta infondatezza della questione,
osservando come la relativa prospettazione comporti una “contaminazione” tra
due sistemi complementari autonomi che si succedono nel tempo, con conseguente
arbitrario innesto in via “additiva” di un sistema sull'altro e con effetti –
oltre che estremamente gravosi per la finanza pubblica – ingiustificati e
discriminanti, in quanto generanti un ibrido sistema di calcolo.
Ricorda l'Autorità intervenuta come la trasformazione
dell'amministrazione delle poste e telecomunicazioni, in ente pubblico
economico prima e in società per azioni poi, non abbia determinato la
cessazione del rapporto di lavoro dei dipendenti, ma abbia, viceversa,
assicurato al lavoratore la continuità giuridica ed economica del rapporto
stesso. Se la legge avesse diversamente disposto, “pagando” l'indennità di
buonuscita immediatamente al 28 febbraio 1998, vi sarebbe stata interruzione
del rapporto di lavoro e costituzione ex novo di una posizione giuridica ed
economica con decorrenza 1° marzo 1998, con grave danno per i lavoratori ai
fini stipendiali. Viceversa, assicurando la progressione economica, si sono
voluti garantire la storicità del rapporto di lavoro ed i conseguenti effetti
retributivi in itinere.
Considerato in diritto
1.— Il Tribunale di Roma, con due ordinanze di identico
contenuto, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento
agli artt. 3 e 36 Cost., dell'art. 53, comma 6, della legge 27 dicembre 1997,
n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), «nella parte in
cui non prevede alcuna forma di indicizzazione o adeguamento monetario per
l'indennità di buonuscita maturata dai dipendenti dell'ente poste italiane alla
data di trasformazione dell'ente in società per azioni per il periodo corrente
tra detta data e la cessazione del rapporto».
Secondo il remittente la disposizione censurata, nello
stabilire che la quota spettante a titolo di buonuscita sia corrisposta ai
lavoratori suddetti nella misura maturata alla data di trasformazione dell'ente
in società per azioni – e cioè al 28 febbraio 1998 – quale che sia, per
ciascuno, la data di cessazione del rapporto, dà luogo a una ingiustificata
disparità di trattamento tra i dipendenti della società Poste italiane e gli
altri lavoratori privati, nonché, all'interno della stessa categoria dei
dipendenti postali, a seconda del tempo trascorso tra la suindicata data di
trasformazione del datore di lavoro e quella di cessazione del rapporto.
La disposizione, ad avviso del Tribunale di Roma,
contrasta inoltre con l'art. 36 Cost., in quanto non tiene conto del fatto che
la buonuscita – avendo carattere di retribuzione differita – deve godere delle
garanzie previste dall'ordinamento per i crediti retributivi e deve avere,
quindi, i caratteri della proporzionalità rispetto al lavoro prestato e della
sufficienza riguardo ai bisogni del lavoratore nel momento in cui viene
effettivamente percepita. Il distacco temporale tra il momento della
determinazione e quello della erogazione – che può essere anche di molti anni –
in mancanza della previsione di un qualsiasi meccanismo di rivalutazione, non
assicura alla buonuscita i suddetti caratteri.
2.— In via preliminare, deve essere disposta la riunione
dei giudizi aventi ad oggetto la medesima questione.
Sulla sua ammissibilità non possono nutrirsi dubbi, dal
momento che essa è stata proposta in termini univoci e non ambigui e perplessi
come era avvenuto nel giudizio avente ad oggetto la stessa disposizione,
definito con l'ordinanza n. 185 del 2006.
3.— Nel merito, la questione – da intendere circoscritta
soltanto alla lettera a)
del comma 6, dell'art. 53 – non è fondata con riguardo a tutti i profili sotto
i quali è stata sollevata.
Non può aversi riguardo alla disciplina del trattamento
di fine rapporto stabilita per la generalità dei lavoratori privati, al fine di
dedurre che quello riservato ai dipendenti delle Poste in servizio alla data
del 28 febbraio 1998 è ingiustificatamente deteriore. La trasformazione del
rapporto di lavoro da pubblico a privato e la correlativa distinzione del
trattamento globale in due elementi, regolati da norme diverse, connotano la
condizione dei suddetti lavoratori postali, ma sono estranee a quella di coloro
che hanno prestato la propria opera esclusivamente in regime di rapporto
lavorativo privato.
Il lamentato contrasto con l'art. 3 Cost. – denunciato
con riguardo a disparità di trattamento in relazione ai diversi tempi di cessazione
dei rapporti di lavoro e quindi di percezione dell'emolumento in oggetto – non
sussiste neppure all'interno della disciplina propria dei lavoratori postali.
Infatti, anche trascurando il rilievo che il decorso del tempo e le differenze
di momenti in cui accadono i fatti giuridici possono giustificare diversità di
disciplina, si può osservare che il periodo intercorrente tra la determinazione
della buonuscita e il pagamento del t.f.r. sarà tanto più lungo quanto minore
sarà l'incidenza della prima sull'entità globale del trattamento erogato alla
cessazione del rapporto di lavoro.
Neanche sussiste violazione dell'art. 36 della
Costituzione.
La tesi del remittente, nella parte in cui assume la
natura di retribuzione differita di tutti i trattamenti di fine rapporto quale
che sia l'ente erogatore e la denominazione di ciascuno di essi, è conforme ai
principi più volte affermati da questa Corte (sentenze n. 401 del 1993, n. 195 del 1999 e n. 459 del 2000)
e va, quindi, condivisa.
Parimenti corretto è l'assunto secondo il quale ai
crediti per i trattamenti di fine rapporto, attesa la loro natura, si estende
la particolare tutela di cui all'art. 36 Cost. con la salvaguardia del potere
di acquisto secondo idonee – anche se non identiche – discipline.
Tutto ciò, però, non conduce all'affermazione
dell'illegittimità della disposizione censurata.
Si rileva, infatti, anzitutto che questa Corte ha
ritenuto che il rispetto dell'art. 36 Cost. – in ipotesi, come quella
ricorrente nella specie, di un trattamento globale costituito da più componenti
(indennità di buonuscita determinata secondo la disposizione censurata e
trattamento di fine rapporto disciplinato dall'art. 2120 cod. civ.) – deve
essere valutato non con riguardo a ciascuna di queste, bensì alla totalità
dell'emolumento (v. per tutte: sentenze n. 164 del 1994, n. 15 del 1995, n. 470 del 2002 e n. 87 del 2003).
Alla stregua di tale principio, si deve ribadire che la
buonuscita è uno degli elementi del trattamento globale spettante ai lavoratori
postali con pregresso periodo di svolgimento del rapporto in regime di pubblico
impiego e che l'entità della sua svalutazione – in misura, come si è detto,
verosimilmente parametrata alla durata del periodo intercorrente tra la data
della sua determinazione (28 febbraio 1998) e quella di cessazione del rapporto
per ciascun lavoratore – è inversamente proporzionale alla misura
dell'incidenza sul trattamento globale della quota di buonuscita rispetto a
quella che si matura in regime di rapporto privato.
Tuttavia, ciò che più conta è che la disposizione
censurata deve essere valutata nell'ambito di tutta la normativa che ha
regolato la trasformazione dell'azienda postale, dapprima nell'ente poste e poi
in società per azioni, e di quella correlativa del rapporto di lavoro del
personale (decreto-legge 1° dicembre 1993, n. 487, recante “Trasformazione
dell'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni in ente pubblico
economico e riorganizzazione del Ministero”, convertito, con modificazioni,
nella legge 29 gennaio 1994, n. 71; art. 2, comma 27, della legge 23 dicembre
1996, n. 662 recante “Misure di razionalizzazione della finanza pubblica”; legge n. 449 del
1997 di cui si
discute). Sotto tale profilo – e con specifico riguardo all'oggetto della
questione – si deve osservare che il danno per i lavoratori, derivante dal
differimento dell'erogazione dell'indennità di buonuscita rispetto al momento
della sua determinazione, trova compensazione nella previsione dell'unicità del
rapporto e nel rispetto delle anzianità maturate, con i conseguenti riflessi
sui livelli delle retribuzioni e, quindi, sulla base di calcolo della quota del
trattamento da determinare ai sensi dell'art. 2120 cod. civ.
La violazione dell'evocato parametro costituzionale non
si determina semplicemente per la mancata previsione di un qualsivoglia
adeguamento di una componente del trattamento retributivo complessivo, bensì
per il prodursi di un'apprezzabile riduzione in termini di potere di acquisto,
come rilevato da questa Corte con riferimento ai notevolissimi livelli della
svalutazione monetaria intervenuta nel decennio 1974-1984 (sentenza n. 401 del 1993).
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 53, comma 6, lettera a), della legge 27 dicembre
1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), sollevata
in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, dal Tribunale di Roma con
le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 ottobre 2006.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Francesco AMIRANTE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 9 novembre 2006.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
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